Ho guardato a lungo un bonsai, ne ho ammirato la bellezza e ne ho comprato uno. L’ho fatto morire in un batter pidocchio… in lui rivedevo me stessa, quella parte di me che odiavo: un albero piccolo, bellissimo, al quale rompono costantemente gli equilibri con potature e imposizioni… Questa sono io e non posso passare il mio tempo a odiarmi devo occuparmi di essere bellissima, quindi ho deciso che quella del bonsai diventerà la mia filosofia di vita.
Il nome cinese significa educare o piantare in vaso, per questo motivo non esistono bonsai piantati in terra. Inoltre i bonsai ha un unico scopo: vengono curati apposta per essere ammirati, per essere l’estetica bellezza perfetta.
Fondandosi sulla filosofia buddista zen e sul wabi-sabi giapponese, è simbolo dell’accettazione della transitorietà delle cose immanenti.
La radice del bonsai è più piccola delle radici degli altri alberi considerando l’altezza e la larghezza del fusto, inoltre essa deve essere potata come il tronco e i rami.
La vita e la crescita del bonsai ci riportano a un principio molto scottante: la costrizione. Esso viene costretto dagli eventi a crescere in una determinata posizione, piegatura, quantità di foglie o di frutti e queste costrizioni sono rappresentate da innesti, legature, pinzature e potature. Il bonsai è compiuto ma anche sempre incompiuto, costantemente in evoluzione seppure bellissimo da guardare già nell’istante.
Conosco molte persone che hanno una estrema riluttanza verso i tagli, soprattutto quelli radicali. Chi ha un cane maschio spesso dice di non volerlo castrare perchè, come dice il mio amico, il solo pensiero gli fa percepire il dolore del taglio delle palle. Personalmente provo lo stesso sentimento nei confronti dei bonsai: l’idea di tagliare una radice mi fa sentire un dolore immaginario di recisione del braccio destro o sinistro o di un alluce e mi sento male, immaginandomi fontane di sangue che schizzano. Non ce la faccio. Ogni volta che mi regalano un bonsai o che malaugaratamente ne acquisto uno io… piuttosto che potare le radici lo lascio morire. È più forte di me.
E poi lo posiziono in casa in un luogo luminoso, in vista, dentro un bellissimo mini vaso da bonsai, lo spruzzo, lo bagno, gli parlo, lo curo e lo fotografo per poi arrivare a un momento in cui lo lascio andare al suo destino perché io le radici non gliele taglio. Punto.
L’alberello in miniatura, inoltre, deve essere asimmetrico seppure proporzionato in tutte le sue parti e i segni del bonsaista (cicatrici, ferite, ecc…) devono scomparire integrandosi perfettamente nel tutto estetico ed apparendo così assolutamente naturale.
È qui che comincia la perfetta storia di una vita costretta, ferita, recisa, potata, obbligata, tenuta nana ma incredibilmente affascinante e oggetto di ammirazione da parte di tutti.
Nonostante qualche stronzo (altro che artista) ti stia provocando un netto cambiamento di direzione esistenziale con il suo intervento traumatico, nonostante tu stia direzionando la tua vita verso quella che tu credi essere la tua felicità, qualcosa o qualcuno obbligano dolorosamente a intraprendere un’altra direzione.
Guardare un bonsai mi impone due pensieri, uno oscuro, invernale, stile Trono di Spade e nevi perenni con grandi pellicce e fiato gelato. Un altro invece un pensiero luminoso, pieno di luce e buoni propositi, come le foto che vediamo nelle agenzie di viaggio di luoghi perfetti nei quali vorremmo stare almeno una settimana all’anno.
Ecco questo è il pensiero d’inverno: il bonsai è un povero sfigato che deve la sua esistenza alle cure dolorose e imposte di un esterno e non sarà mai felice, tuttavia non manca un pensiero di luce è: il bonsai, nonostante uno stronzo potatore giapponese esteta di merda voglia provocare una asimmetrica e perfetta forma innaturale delle radici, del fusto e dei rami, è capace lui stesso a integrare tutto questo in un evento ammirevole e perfettamente bello, nascondendo addirittura i segni della violenza subita e invogliando ad essere come lui meraviglioso. Perché quando guardi il bonsai… vorresti essere perfetto e sereno come lui.
Il pensiero di luce, infatti, è quel finale di frase che rende il pensiero oscuro un inutile passaggio ombroso nell’esistenza di ciascuno di noi.
Quanto è inutile essere tristi e depressi, eppure tutti facciamo qualche passaggio oscuro.
Poi arriva il pensiero luminoso e forse non cambia la vita, nemmeno la sostanza di ciò che viviamo, ma cambia il respiro e la visione futura: così non sono più preoccupata della tristezza ma guardo le pareti del mio tunnel in attraversamento gustando il momento in cui sbucherò da qualche parte.
Questo sbucare da qualche parte dopo l’attraversamento doloroso di un tunnel è paragonabile alla bellezza naturale che assume il bonsai dopo potature, cicatrici, tirature, storpiature varie. Lui è bello. Punto.
One response
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